A.C. 2298-A
Presidente, sottosegretaria, colleghe, colleghi, mai più bambini innocenti in carcere. Forse ci siamo. Oggi, però, stiamo ponendo il supremo interesse del minore in cima ai pensieri del legislatore. Di questo sono particolarmente felice. Era settembre 2018, da pochi mesi ero qui in Parlamento, ma le parole del cappellano di Rebibbia mi colpirono profondamente: siamo qui - disse - perché possiate sentire il nostro affetto. Anche la vostra mamma, che pure ha messo fine alla vostra vita in questo modo, poteva essere qui. Si dice basta ai bambini in carcere, ma poi niente cambia. Spero che il Ministro della Giustizia adesso faccia qualcosa in tal senso. Il nostro impegno - continuò il cappellano - in questo caso è sconfiggere il silenzio, per far sì che un fatto come questo non accada più.
Parole crude nei confronti anche della politica, che spesso enuncia buoni propositi, ma poi non riesce a realizzarli. Si riferiva, il cappellano, avete capito, ai due bambini di 6 e 18 mesi che la mamma ha ucciso scaraventandoli dalle scale della sezione nido del carcere di Rebibbia. Le ho viste quelle scale, le ho viste quelle scale... E da quel giorno ho iniziato a occuparmi di quei 66 bambini, che allora erano negli ICAM o nelle sezioni nido, bambini che non avevano voce, condannati, prima ancora di vivere, in carcere. Allora sono stato con la Commissione per l'infanzia e con tanti colleghi all'ICAM di Lauro, in provincia di Avellino, insieme al Garante dei detenuti della Campania, a vedere cos'era un ICAM. Poi sono stato nella casa famiglia, qui a Roma, Leda Colombini: una bella villa confiscata a un boss della mafia, e quindi già questa era una garanzia, dove non c'erano sbarre, dove non c'erano finestre chiuse, dove la vita scorreva in modo normale. Ho ascoltato la voce delle mamme, ho parlato con i volontari che ogni giorno vanno in queste case protette, vanno negli ICAM, ho parlato con gli operatori che ogni giorno si dedicano a questi bambini innocenti, ma reclusi. Mi sono confrontato con i colleghi in Parlamento, ho parlato con le associazioni che da anni si occupano di questo tema e ho presentato questa legge nel 2019, per molti mesi, ahimè, ferma in un cassetto. Ma sì, forse la pandemia, forse era un tema secondario. Poi la grande accelerazione, viene nella Commissione per l'infanzia la Ministra Cartabia e a inizio audizione dice: il mio impegno sarà “mai più bambini innocenti in carcere”. Bene, tutti i media l'hanno ripresa. Oggi siamo qui grazie al lavoro paziente e competente dei miei colleghi della Commissione giustizia, che ringrazio molto, che hanno cucito un lavoro perfetto, e ora nessun bambino e nessuna bambina innocente saranno più in carcere, perché nessun bambino merita di crescere in carcere.
Questa dei bambini che sono innocenti e sono in carcere è una follia solo italiana, perché sappiamo con certezza che, nei primi due anni di vita del bambino, l'ambiente in cui vive svolge un ruolo decisivo per lo sviluppo del suo cervello. Se quel bambino riceve effetti tossici, quel cervello si svilupperà in maniera molto deficitaria; se riceve effetti positivi, quel bambino sarà un bambino felice e sarà anche un adulto felice e competente, perché le disuguaglianze in salute e sociali si combattono esattamente nei primi mille giorni di vita. Questo lo dice ormai la scienza in tutti i suoi settori, sociali, economici e di salute. È un dato certo!
Le donne in carcere sono poche: sono il 4 per cento circa del totale e i bambini in carcere con le mamme sono effettivamente pochi: erano 16 a febbraio e forse oggi sono 19. Non mi dite che sono piccoli numeri, non mi dite che è un piccolo fenomeno. Basterebbe soltanto uno perché sia di troppo, perché sono bambine e bambini in carne e ossa che hanno tutto il diritto di vivere una vita normale e io e i miei colleghi del PD ci vogliamo battere, finché siamo qui, proprio per questi 16 bambini, la cui vita interessa poco a tutti.
Le case famiglia protette devono essere e saranno da oggi in poi - quando arriverà al Senato - l'unica scelta per far scontare la pena a una donna in stato di gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età, ovviamente se non ci sono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Le mamme dell'ICAM di Lauro mi hanno raccontato che la prima parola che il loro bambino ha detto e che ogni bambino dice non è stata “mamma” ma “apri”, perché è la parola che più spesso hanno sentito: “apri la cella, fammi uscire”. Questo la dice lunga su come quel bambino sta crescendo e si sta sviluppando. L'atmosfera che, invece, ho visto a Roma, presso la “Casa di Leda”, è del tutto diversa: non ci sono sbarre, non c'erano celle da aprire. La vita scorre secondo tempi normali di vita familiare. Sembra una vita normale e per molti di loro è anche più bella della loro vita di prima. Per cui, sono fermamente convinto che l'accoglienza in case famiglia protette sia la modalità unica per assicurare la miglior vita possibile a questi bambini che sono costretti a vivere in carcere con le loro mamme. Non possiamo, infatti, pensare in modo pazzesco di recuperare una donna che ha sbagliato e condannare il bambino a trascorrere i primi anni della sua vita in un carcere, condannandolo per sempre con cicatrici, di cui ho già detto prima, che saranno irreparabili e non sanabili.
Certo, questo è il primo passo, perché poi ne serviranno altri. Per esempio, far sì che, una volta fuori dal carcere, questi bambini vengano seguiti da vicino per guidarli verso scelte giuste, altrimenti, come racconta Lorenzo Marone nel suo ultimo libro Le madri non dormono mai, proprio ispirato alla storia delle mamme dell'ICAM di Lauro, quando Diego, di 9 anni, esce dall'ICAM viene risucchiato dalle baby-gang del suo rione e, in un conflitto a fuoco con la polizia, muore a soli 14 anni.
Questa proposta di legge offre uno strumento giuridico per dimostrare che il Parlamento vuole lottare per tutti gli innocenti, iniziando proprio da questi bambini innocenti che vivono in carcere. È una questione di civiltà ma anche di sviluppo, perché investire sull'infanzia - ormai è certo - non è un costo ma un investimento altamente produttivo, specie se comincia nella vita precoce del bambino. È poi un tema di diritti costituzionali negati. L'articolo 31 della nostra Costituzione recita che la Repubblica “protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Ebbene, per tutti questi motivi, che così ho sintetizzato, ma anche per dire al cappellano di Rebibbia che le sue parole sono servite e che la politica ha svolto oggi la sua funzione più nobile, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico.